Sebbene si sia assistito a una vittoria schiacciante alle presidenziali tenutesi questo mese in Serbia, a Belgrado da giorni vanno avanti proteste e manifestazioni di vario tipo contro il capo dello Stato.
Parlare di politica senza parlare di politica quando una situazione politica (appunto) ti sta particolarmente a cuore non è di certo facile. Eppure, di ritorno dal viaggio a Belgrado, avendo avuto l’occasione di chiacchierare con la gente del posto e di scambiare opinioni circa le ultime elezioni ho pensato che, in fondo, un modo bisogna pur trovarlo per raccontare almeno il discorso politico.
Tralasciando la visione personale e i racconti di pancia ecco una carrellata di video promozionali realizzati per la campagna elettorale 2017, dall’attuale presidente serbo Aleksandar Vučić.
1) Aleksandar Vučić va in biblioteca
Il candidato alle presidenziali si reca in biblioteca dove incontra la bibliotecaria Nada. Lei, tanto stupita da un visitatore di questo calibro, fa cadere il libro che ha in mano esclamando “Piccolo Alek”. Con questa espressione però non sta sottolineando il rispetto verso il suo ruolo istituzionale (ricordiamo che Vučić è ancora Premier serbo) ma il ricordo di un ragazzino, una persona vicina, che come tanti altri ragazzi va in biblioteca a chiedere libri in prestito. Il piccolo Alek è ormai diventato adulto, è una personalità di spicco della politica in quanto Primo Ministro, ma la bibliotecaria con questo saluto ne fa spiccare il lato umano, quello del ragazzino che era e che per lei è ancora, nonostante il tempo passato e la carriera politica. Vediamo lui vestito con abiti di tutti i giorni, maglione e camicia, che dismesse quindi le vesti ufficiali del politico offre un’immagine di vicinanza ancor più forte tra la figura che ricopre e l’idea di uomo comune. Le porge il libro affermando che è uno che “mantiene la parola data” mentre lei commenta che in effetti gli ci è voluto del tempo.
“Sono stato un po’ occupato” risponde lui, serafico, sottintendendo il fardello della responsabilità che ha sulle spalle. La bibliotecaria allora gli dice “Me ne sono accorta, ma permettimi una domanda: come Premier svolgi un ottimo lavoro, allora a cosa ti serve ora candidarti anche come Presidente?”, così in una sola battuta non solo vengono fatti i complimenti verso l’operato del piccolo Alek ma viene anche espressa una sana preoccupazione verso l’ulteriore responsabilità che quest’ultimo è disposto ad assumersi. Un gesto che graverà su di lui ma che è deciso a compiere per il bene del paese perché, ripete “mantengo la parola data”. A questo punto si entra nel vivo dello spot elettorale e il piccolo Alek guarda in camera, illustrando la situazione. Aveva promesso di risollevare e proteggere la Serbia dalla crisi finanziaria ma i suoi oppositori farebbero di tutto per rovinare il suo operato, dunque è necessario che lui protegga quanto ha realizzato scendendo in campo anche come capo di stato.
Intramezzo grafico con lo slogan: “Più velocemente, con più forza, meglio” e chiusura finale del video in cui la Signora Nada lo ferma e assistiamo al seguente dialogo:
“Ascolta Aleksandar, hai mantenuto la parola data, ma sei in ritardo di 35 anni, quindi vai in punizione”
“I ragazzini La chiamano ancora lo squalo?”
“Sì”
“Lo immaginavo.”
Lo spot finisce con questo breve sketch comico con cui si sta, di fatti, informando lo spettatore che il suo Premier e probabile futuro Presidente sta consegnando un libro per ragazzi dopo 35 anni. La blanda ammonizione della bibliotecaria, che in questo frangente riveste il ruolo di oppositore, le fa meritare l’appellativo di squalo (animale feroce e pericoloso) che mette in punizione il piccolo Alek per essere appena un po’ in ritardo, mostrandosi lievemente irrispettoso verso le regole vigenti nell’istituzione della biblioteca.
Ma del resto a chi non capita di trasgredire ogni tanto? Piccolo Alek amico dei birbanti.
2) Aleksandar Vučić va al pub
Siamo in un pub dallo stile occidentale, talmente tanto lontano dalle kafane serbe che sappiamo non si tratti di un pub in Inghilterra solo perché gli astanti parlano in serbo e la tv mostra il telegiornale nazionale. Qui sono sedute delle persone al bancone che bevono birra e stanno per brindare contro Vučić dicendo “invece di candidarsi perché non ha risolto la situazione dei posti di lavoro?”
A questo punto, mentre sullo sfondo tutte le persone sono congelate con il bicchiere in mano, vediamo Vučić intervenire.
Solito maglione e solita camicia, birra intonsa davanti a sé, dice: “Abbiamo dato 130000 posti di lavoro” e di fronte all’incredulità delle persone con ancora i bicchieri alzati, continua a sciorinare i numeri dei suoi successi sul lato dell’occupazione.
Esprimendo un sonoro moto di delusione il popolino del pub abbassa i bicchieri. Il sobillatore della folla, l’unico ad indossare invece che una camicia una felpa, prova a chiedere circa la condizione delle strade e tutti lo seguono per brindare nuovamente contro Vučić. Ma niente da fare perché il candidato, serafico, fa sì che nuovamente tutti si congelino presentando altri numeri circa i km di strade asfaltate, asfaltando nuovamente chi evidentemente non era a conoscenza di questi successi ma voleva solamente schierarsi contro di lui per partito preso. Lui che, insieme a loro, è lì a godersi una birra da solo mischiandosi alla gente comune.
“E le scuole? E gli ospedali?” incalza il ragazzo con la felpa che non si da per vinto nonostante le evidenze, smuovendo nuovamente un nuovo tentativo di brindare da parte del popolino che lo segue in coro. Ma anche questa volta Vučić racconta i numeri generando nuova delusione, e impedendo ai malinformati di bersi un bicchiere contro di lui.
Guardando allora in camera il Premier prosegue: “Non importa cosa vi dicano, voi sapete la verità. Negli ultimi 3 anni la Serbia è sulla strada giusta (ndr. gli ultimi tre anni sono gli anni del suo governo) e per questo non possiamo fermarci. Continueremo ad andare avanti, ad essere ancora più forti, più veloci, migliori.”
A questo punto il popolo assetato, che evidentemente non aspettava altro che qualcuno lanciasse uno slogan per poter finalmente brindare, passa dalla sua parte e chiama un nuovo brindisi.
Dopo l’intramezzo con il lettering richiamante lo slogan, vediamo nel televisore del pub una partita di calcio, durante la quale la massa informe di persone che compone la tifoseria di una squadra grida in coro “Vučiću pederu” (trad. Vučić frocio) e al bar alzano nuovamente il bicchiere per brindare allo slogan, ma Vučić (che la prende con ironia) scuote la testa e il brindisi viene di nuovo ritirato.
La vicinanza del bonario premier arresta il richiamo dell’opposizione impedendo così al popolino del pub (che da solo non saprebbe orientarsi, e scadrebbe nel qualunquismo della propaganda) di schierarsi dal lato sbagliato della storia.
3) Aleksandar Vučić va in aereo
Un metaforico aereo sul quale a grandi lettere c’è scritto SERBIA 2017, solca le nuvole del cielo del futuro. Al suo interno i passeggeri vengono salutati dal capitano, poi una voce saluta presentandosi come secondo capitano e generando stupore generale. Ben presto i due iniziano a litigare circa la direzione da prendere e l’aereo sbanda vigorosamente. Il panico cessa quando vediamo Vučić destarsi dal sonno e capiamo che si trattava di un incubo. Accertatosi che la situazione sia sotto controllo il Premier guarda in camera e ammonisce gli spettatori che questo potrebbe essere il loro peggior incubo, perché la loro terra è in mano a due persone (il Presidente il Premier) e se questi due uomini vogliono indirizzare il Paese verso due rotte differenti non si potrà mantenere la stabilità che si sta vivendo in questo momento.
I due capitani dell’aereo gli danno ragione e solo allora si rendono conto di non essere nella cabina di pilotaggio.
Viviamo un momento storico in cui la narrazione della politica è incentrata sulla personalizzazione, ovvero in cui tutto ciò che si dovrebbe raccontare circa visione, pensiero e ideali viene schiacciato sulla personalità e la vita privata dei rappresentanti. Lo abbiamo notato nella comunicazione di Obama, nelle sue camicie senza cravatta con le maniche tirate sù, nelle sue foto. Lo abbiamo visto nei retroscena resi pubblici nella comunicazione di Renzi, che lo ritraggono prima come uomo e poi come politico. Lo osserviamo in effetti in molti altri politici europei.
E sebbene il lato umano sia senza dubbio centrale e la vicinanza sia assolutamente una carta da giocare in chiave strategica, è altrettanto vero che la loro rappresentazione e la messa in scena di una naturalezza artificiale non sono la stessa cosa. Ciò che la comunicazione di Vučić durante questa campagna elettorale ha mostrato è la semplificazione stereotipata di un problema ben più complesso: riuscire a connettersi con il paese reale. Ma quel che vediamo nei video è un tentativo bizzarro di scimmiottare la vita reale attraverso situazioni da sit-com di serie B. Non è ammiccando agli slogan degli oppositori che si dimostra consapevolezza, né tantomeno rappresentando tali oppositori (o gli elettori) come caricature di sé stessi. E sebbene siano spot pubblicati su YouTube, è evidente come in realtà siano pensati per la televisione, per il pubblico della televisione. Un elettorato anziano intimorito e naif per il quale, evidentemente, funzionano.
Ma, agli occhi degli osservatori esterni, l’irrealtà delle situazioni, le trovate paradossali e la grammatica visuale utilizzata (ovvero gli elementi attraverso cui questi video rappresentano il candidato) non fanno che aumentare il sospetto che dietro questa messa in scena ci sia ben altro.
L’altro che la popolazione tramite le manifestazioni e la rete sta cercando di far emergere, una voce giovane e inarrestabile che sta cercando in tutti i modi di imporsi, contro la corruzione, contro la fame e contro le menzogne. Una voce che nasce dalla disperazione e che trova nei giovani che marciano ogni giorno il proprio volto.
Sfortunatamente, però, mentre le strade sono piene e in rete si mobilitano i gruppi, i voti portano il Paese verso un’altra direzione.