Anonimi reporter diffusi: gli utenti di Snapchat e il terremoto in Messico.

Recentemente in Messico si è verificata un’altra scossa di terremoto e, come in altri momenti di crisi, c’è stata la necessità di informare e informarsi circa la situazione.

Tra tutte le fonti di informazione che compongono l’ecosistema mediale in cui ci muoviamo, ve n’è una in particolare che ha mostrato le sue potenzialità durante un precedente evento emergenziale: l’Uragano Harvey. Come sottolineato in quella circostanza da altri, nei momenti di tensione Snap Map si è dimostrato essere un mezzo particolarmente potente per il racconto dell’uragano. A quanto pare, infatti, il racconto tramite snap geolocalizzati, rispetto alle altre piattaforme che adottano sistemi simili (quali Facebook o Instagram), risulta essere particolarmente “intimo” e privato, presentando frammenti di vita che gli utenti scelgono di aggiungere alla storia pubblica (“La nostra storia”).

That humanizing quality alone makes Snap Map an invaluable new way to observe our world, particularly in moments of strife or celebration.

Di base quindi viene offerta la possibilità, pubblicando un video o una foto geolocalizzati e aggiungendoli a “La nostra storia”, di partecipare a un racconto collettivo creato spontaneamente da un algoritmo della piattaforma. A quel punto, per gli utenti che navigano nella Mappa di Snapchat, delle zone appariranno colorate di azzurro se il numero degli snap è esiguo e di rosso se vi è una concentrazione di snap. È bene ricordare che questi snap raccolti non presentano, a meno che l’utente non lo aggiunga autonomamente, alcun riferimento al nickname dell’autore; ribadendo ancora una volta che Snapchat non sia un luogo pensato per conoscere nuovi utenti, fare networking, piuttosto uno spazio in cui far vivere i propri racconti.

Altra caratteristica interessante, inoltre, risultano essere le storie in evidenza, ovvero, dei racconti curati dalla piattaforma sempre a partire dagli snap degli utenti, o degli eventi realizzati in collaborazione con il team di Snapchat. Se ci si trova di fronte a questo tipo di storie, esse appariranno graficamente con un’etichetta riportante il proprio nome e una piccola preview.

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Per quanto riguarda il terremoto in Messico è stato possibile osservare l’articolarsi del racconto secondo due modalità: quella completamente spontanea e quella curata dalla piattaforma.

Il racconto collettivo spontaneo.

Le storie collettive spontanee, in genere, rappresentano spaccati del quotidiano dove la banalità della routine incontra il gusto per il diverso e per l’esplorazione di chi guarda dall’altra parte dello schermo e del mondo. I luoghi, i volti e gli ambienti della propria esistenza si collegano a quelli degli altri e diventano la pittoresca rappresentazione di “quel che succede qui, oggi”.
Niente di straordinario fino a che qualcosa di straordinario non accade.

Cercando, infatti, sulla mappa il Messico dopo il terremoto e premendo sulle zone “rosse” ci si trovava di fronte a una carrellata di immagini ferme o in movimento di diversa natura, e realizzate in momenti diversi della giornata. Quindi, insieme a testimonianze dei danni causati dalla scossa nelle abitazioni degli utenti era possibile vedere pezzi del racconto quotidiano ordinario: feste, locali, paesaggi, amici. Le crepe e i disagi mostrati arrivano all’improvviso, alla fine di scene relative al privato e momenti senza tensione.

Per questo motivo il racconto spontaneo riesce a restituire in maniera decisamente efficace quello che un evento di crisi rappresenta nelle vite dei singoli: una brusca interruzione con cambio radicale del vissuto, oltre che di certi luoghi, viene tradotta nello spaesamento che lo spettatore prova nel vedere, in un unico calderone, il mondo ordinario e gli effetti del terremoto.

Questa miscela prodotta dal basso arriva immediata dallo schermo come un pugno sullo stomaco, nonostante si fosse lì alla ricerca di informazioni, perché racconta in modo inaspettato l’avvento del tragico. Possibilità che, anche se ci si ritiene pronti, a fatica è conciliabile alla leggerezza della vita quotidiana.

La potenza di Snap Map durante eventi di questo tipo è tutta qui, nel mosaico genuino e diretto delle vite intrecciate che si trovano a fronteggiare l’incertezza.

Mexico Earthquake: il racconto curato.

Tramite Mexico Earthquake (nome che è stato dato alla storia curata) si è assistito a un vero reportage giornalistico, realizzato a partire esclusivamente da user generated content rimaneggiati in vari modi. Ad esempio, sono state aggiunte didascalie che appaiono visualmente differenti da quelle che gli utenti potrebbero realizzare e che commentano i video aggiungendo delle informazioni utili non ai produttori degli snap, ma esclusivamente ai fruitori.

Per quanto riguarda i contenuti dei video, molti mostrano alti edifici che vacillano, altrettanti ne mostrano il crollo e le macerie. Visioni agghiaccianti e realizzate in tempo reale, un tempo reale che raramente il giornalismo riesce a catturare attraverso dati di prima mano. O meglio, spesso riesce cannibalizzando gli user generated content che trova in rete, ma non attraverso contenuti prodotti spontaneamente e specificamente per la propria piattaforma. Chiaramente Snapchat non rappresenta una testata giornalistica, tuttavia questo tipo di operazione è per molti versi davvero simile agli speciali realizzati dal mondo dell’informazione.

Per gli utenti, anonimi e “involontari” reporter, il terremoto non è “una notizia” ma un accidente capitato bruscamente nel regolare scorrere del tempo. Motivo per il quale il racconto personale non si modifica nella forma. Se si è abituati a riprendere mostrando il proprio volto è assai probabile che questo stile verrà ripetuto anche per il racconto dell’evento. Così tra i video raccolti troviamo anche i visi segnati dallo spavento che, quasi catarticamente, espongono il proprio recente vissuto. Questi racconti, realizzati per un pubblico immaginato e in un momento così delicato, sono espressi nella propria lingua; sicché per venire ricompresi e mostrati nella storia curata vengono sottotitolati in inglese per un pubblico più ampio.

Lo stesso vale quando ad essere mostrati sono i luoghi del quotidiano,

le voci vengono tradotte perché fanno parte del valore aggiunto che hanno i filmati. Sentire una voce lamentarsi non è abbastanza quando si fa questo tipo di informazione e quando si ha la possibilità di sottolineare le parole esatte con cui viene espresso l’orrore.

Earthquake Mexico ha tutto ciò che un reportage dovrebbe avere, ma anche molto di più. Dentro ci scorre la vita. Traumatizzata, impaurita, capovolta e tradotta in un video che è potente perché si sente il pulsare di autentico: che passa dai volti, dalle parole e dall’ordinario sovvertito. Tuttavia, se si riflette sulla natura dei frammenti utilizzati, la prospettiva si modifica.

Quello che nasce come racconto personale condiviso, nel momento in cui viene curato, diventa altro. Un ibrido che non è più esclusivamente testimonianza personale ma non è nemmeno reportage giornalistico. Il singolo racconto di un’esperienza terribile diventa un object trouvé solo perché condiviso, donato per aprire una finestra e mostrare al prossimo cosa stia accadendo. Lo snap, sebbene già pensato per un pubblico e quindi non del tutto privato, è tuttavia legato a una specificità data dal suo essere il prodotto di un individuo e quindi figlio di determinate esigenze comunicative. E venendo selezionato dai curatori della storia, secondo criteri tipici del sistema dei media, è come se gli venga riconosciuta una certa “centralità” nell’articolarsi del racconto. Una centralità di per sé non necessaria perché ciascun contenuto generato dagli utenti ha già una sua dignità e significato. Per il sistema dell’informazione, però, alcuni contenuti sono più efficaci di altri e anch’essi devono venir maneggiati, per poter essere restituiti come ancor più adatti.

Questa operazione, necessaria al sistema dei media mostra come gli utenti, nonostante dei mezzi di comunicazione di massa per le masse abbiano interiorizzato i linguaggi e i codici dei media, producano contenuti che devono essere ridigeriti e trasformati per poter far parte di questo tipo di racconto. E sebbene si sia avvezzi alle logiche della cultura convergente, riflettendo attentamente, qualcosa in questo caso sembra stonare: forse per l’immediatezza che è punto di forza del linguaggio della piattaforma e che così viene meno; forse per via del tema che negli snap viene trattato; o forse perché è necessario impegnarsi maggiormente in chiave etica nel rapporto tra chi fa informazione coscientemente e le vite il cui racconto (in altre circostanze) sarebbe bastato a sé stesso.

Ad ogni modo: fuerza Mexico!

 

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