Segnali disturba(n)ti: facce piallate, filtri alternativi e il mercato.

Instagram ha reso le immagini modificate una pratica molto diffusa, tanto da dover inventare l’hashtag #nofilter quando si vuole comunicare una certa genuinità del contenuto postato. Ma le storie fanno un passo in più: modificano i connotati, il volto non basta più e un po’ per gioco e un po’ per piallarsi la faccia, spuntano filtri bellezza. Ovvio, ci sono anche modi creativi di usarli, per indicare un mood particolare o per aggiungere elementi di intrattenimento per il proprio pubblico (per chi era su Snapchat: come scordare il filtro tristezza di Tegamini?). Sull’argomento SnapchatVSvolto in passato sono usciti diversi articoli, che riflettono su un certo tipo di subdolo potere che viene applicato in modo giocoso ai corpi.

In questo scenario fatto di facce deformate, facce che si credono migliorate, facce che insomma non bastano mai a sé stesse ma sono sempre al centro dello schermo, vediamo tentativi di rielaborazione di questo mascheramento transitorio.

Da qualche tempo a questa parte Instagram ha reso possibile a brand e celebrità (quindi brand!) di creare i propri filtri da usare e far usare nelle storie, come aveva precedentemente fatto Snapchat. Uno dei più comuni, nella mia rete almeno, è quello di Kylie Jenner che funziona bene in quanto offre la possibilità di fingersi truccati con alcuni dei suoi prodotti make-up: in questo modo non solo l’utente gode di una sorta di servizio per via dell’acquisizione di un nuovo filtro, ma si ottengono contenuti brandizzati che circolano tramite i vissuti individuali rendendo ancor più visibile celebrità e prodotto. Nel caso della Jenner il filtro fa sì che il prodotto si virtualizzi sul volto e il brand non è così evidente, tuttavia la nostra faccia, quindi la nostra individualità, si rende portatrice di una marca prestandoci al racconto diffuso della stessa.

La possibilità di creare e proporre alla piattaforma i propri filtri per le storie è estesa a chiunque voglia farne tramite degli strumenti appositi di realizzazione.  Questo sembra aver creato una nuova possibilità espressiva per artisti che si occupano di performance visuali, e quindi in stretta relazione con la tecnologia.

Per questo motivo qualche giorno fa mi sono imbattuta, tramite le storie di un mio amico, in un filtro di Instagram che non avevo mai visto prima e per curiosità sono andata ad aprirlo. Si trattava del filtro ‘monologue’ dell’utente exitsimulation. Il filtro moltiplica la faccia dell’utente posizionandola ai lati di quella originale come se ci fossero due interlocutori ai lati. L’ottima resa di questo esperimento, che riflette sulle performance ego-riferite che avvengono nelle storie, ha scatenato la mia curiosità e mi ha portata a chiedere ai miei amici di Instagram se avessero da segnalare altri esempi. Così in meno di 24 ore si sono spalancate davanti a me le porte di un Instagram che conoscevo poco.

I filtri che ho trovato sono essenzialmente di due tipi: una larga maggioranza modifica il volto dell’utente e gli altri invece interagiscono con l’ambiente esterno.

L’ossessione per una momentanea perfezione viene interpretata da filtri che mostrano la vera identità dell’utente che la insegue: una fusione di uomo e macchina. Non è un caso infatti che molti mostrino effetti che plastificano la faccia, glitch, scenari post-apocalittici. Tutti esempi derivanti da un immaginario fortemente influenzato dalle estetiche del cyberpunk.

Alcuni artisti propongono le loro creazioni per dare vita insieme agli utenti a performance collaborative tramite la piattaforma. Ovviamente tali operazioni corali funzionano, esattamente come per i brand, da cassa di risonanza per il creatore del filtro che viene menzionato nelle storie di quanti decidono di prendere parte alla performance. Le storie degli utenti, più o meno innovative, vengono rimbalzate dall’artista creando così un contenitore per tali prodotti. In questo modo il fenomeno si struttura comunque attorno ai valori della ‘visibilità’ e della ‘popolarità’ nel contemporaneo. Il filtro reca il nome del suo creatore e lo rende diffondibile, facilitando la possibilità di acquisire nuovi contatti. La mention al creatore all’interno delle storie ha poi una triplice funzione: a) rende ‘edotto’ il creatore di quanto sia andato lontano il suo filtro; b) permette al contenuto dell’utente di venire rimbalzato nelle storie del creatore, rendendo l’utente maggiormente visibile, aumentando anche potenziali nuovi follower; c) permette al creatore di mostrare, a quanti visualizzano le sue storie, il suo capitale sociale (ovvero il numero di utenti che hanno acconsentito a partecipare). Si nota quindi come questo tipo di operazioni si caratterizzino attraverso la performatività facilitata e anzi suggerita dalle affordance della piattaforma.

Tuttavia, se chiedete a me, se dobbiamo proprio fare il gioco del mercato preferisco farlo per diffondere questi immaginari alternativi. Se non puoi batterli, glitchali.

[Se non vi siete mai imbattuti in questo tipo di contenuto e vi state chiedendo come fare ad avere anche voi dei nuovi effetti per le vostre storie, il procedimento da seguire per sbloccarli è abbastanza semplice: basta farsi contagiare cliccando sul nome del filtro che appare nella storia del contatto che lo sta usando (in alto a sinistra). Certo, bisogna anche sapere chi ne abbia prodotti e/o avere amici che seguono il fenomeno e lo mettono in pratica.]

Alcuni account da seguire.

@sk1kko (aka Francesco Laterza, che sta costruendo la sua community di disgrazieti giocando sulla riconoscibilità del logo e dell’espressione. Vagonate di cultura pop, andate a vedere)

@filipcustic1 (con la performance collaborativa per Absolut, #AbsolutManifesto19)

@felipepantone (il futuro è qui e ha il gusto della visione sulla tecnologia degli anni ’80)

@chrispelk (moltiplicatevi)

@kevin.kripper (glitchatevi)

@zurobets (che sono io e non sono di certo una che fa filtri, però quelli che ho trovato e trovo li metto nelle storie in evidenza, e potete non seguirmi: è un servizio gratuito)

 

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